Rota

ARMA dei Rota di Bergamo: Troncato nel primo di rosso a una ruota d’argento; nel secondo d’argento al monte di tre cime di verde. (Dizionario Storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane di G.B. Di Crollalanza Vol. 2° Pag. 450).

RotaCASATA: Questa famiglia detiene il primato come cognome fra i più diffusi della bergamasca e anche nell’ambito delle famiglie nobiliari annovera molte casate dislocate un po’ in tutta la Penisola; dal Friuli alla Dalmazia, a Trieste, Bolzano Milano, Cremona, Padova, Verona, Ravenna, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Firenze, Roma, Pesaro, Napoli, Sorrento, Cosenza. E’ noto il fenomeno migratorio verificatosi dal sec. XV° sino al XVII° nelle Prealpi bergamasche, dalle quali a migliaia sciamarono le famiglie dirette alle più svariate località d’Italia, portandovi la loro intelligente operosità e il loro accorto spirito d’iniziativa nei commerci e nelle industrie. Fra i luoghi che diedero maggiore contributo all’esodo va annoverato il paese di Rota in Valle Imagna, gli emigranti dal quale nelle nuove residenze vennero chiamati , dal nome del paese d’origine, de Rota o anche semplicemente Rota. Non è da escludere comunque, come sostiene qualcuno, che il toponimo di Rota in Valle Imagna non sia l’origine, ma derivazione esso stesso dal cognome, da collegare dunque a radici più antiche. Indagini nelle indicazioni storiche sul nome Rota trovano riferimenti e connessioni con il longobardo Rothar (Rot Har = Rosso di pelo) lo stesso con cui inizia nel 643 il suo editto il re longobardo Rotari, duca di Brescia, di Bergamo, e della corte Regia di Almenno, paese delle più antiche origini dei Rota. La conferma di questa ipotesi viene dalla presenza del toponimo Rota sempre riferito a presenze longobarde (come del resto per la stessa chiesa di Rota nella Valle Imagna dedicata a S. Siro patrono della capitale del regno longobardo), in altre località fuori del bergamasco: nella provincia di Como, a Verona e nel Lazio. Soprattutto però nella provincia di Salerno dove la storia testimonia l’antico e potente gastaldato longobardo di Rota, oggi salvato dalla denominazione dell’abitato più antico dell’attuale Mercato S. Severino, la località appunto di Valle S. Severino Rota.

Lo stesso simbolo della ruota, presente in tutti gli stemmi della famiglia, riconduce all’iconografia sacra longobarda. Nel Duomo di Monza costruito dalla Regina Teodolinda (la cui figlia sarà sposa di Rotari) e nell’altare di Rachis a Cividale, l’antico segno cristiano del nome di Cristo fatto dalle due lettere greche X e P sovrapposte e aureolate diventa la croce a cinque braccia, il crysmon o “rota sanguinis fidelium” segno del Cristo che sovrapposta al segno arcano della “croce longobarda”, diventa segno cosmico e stemma della famiglia Rota. Alcuni appartenenti di questa famiglia fecero parte della famosa Compagnia dei Caravana di Genova; all’inizio del 1300, le tristi condizioni sociali del tempo, le guerre di fazione che insanguinavano la penisola, la popolazione decimata dalla peste e dalla carestia, oltre che l’opprimente fiscalità dei Visconti di Milano favorirono l’emigrazione da queste valli. Fu così che alcuni valligiani si trasferirono presso il porto di Genova ed improvvisatisi facchini portuali, fecero fortuna, conquistando il diritto esclusivo dello scarico di tutte le merci del porto. Nel Medioevo questa famiglia prendeva parte attiva nelle fazioni politiche che insanguinavano l’Italia, appartenendo ai campioni del partito guelfo. Il Castelli nel suo “Chronicon bergomense guelpo-ghibellinum”, ricorda esponenti di questa famiglia intervenuti spesse volte negli episodi di sangue fra guelfi e ghibellini della bergamasca. Nella seconda metà del Quattrocento si trova una famiglia de Rota iscritta al Consiglio Nobile di Bergamo, i di cui membri, datisi alle magistrature ed alla carriera delle armi, ottennero dalla città e dalla Repubblica Veneta i primi onori.

Fra di essi si contano condottieri di gente d’armi, cavalieri aurati del Senato veneto e gerosolimitani. Orsino Rota viene ricordato nel XV° secolo, quale componente il Collegio dei Giudici di Bergamo. Simeone, suo figlio, nel 1548 acquistò il castello e il feudo di Momiano nell’Istria per la somma di 5555 ducati d’oro dalla famiglia Raunicher che ne era padrona, e quattro anni dopo comprò dai conti Brati il feudo di Sipar, antico dominio dei Vescovi di Trieste; egli fu fatto Cavaliere da Francesco I° re di Francia. A Lodovico di tale famiglia, nato a Bergamo il 7 luglio 1636, l’Imperatore Leopoldo con diploma 8 Novembre 1678 concedeva i titoli di libero barone, conte e marchese e li estendeva ad altra famiglia Rota dimorante a Cremona e ascritta a quel patriziato.

Appartengono ai Rota di Bergamo i seguenti: Cristoforo detto Tuzzano, era nel 1393 uno dei capi guelfi delle Valli Imagna e S. Martino, e, alleato al capitano di ventura Giovanni Acuto, combattè valorosamente contro i ghibellini Visconti. Taddeo, fratello del precedente e asserito autore del ramo ascritto al patriziato veneto, militò al servizio della Repubblica, e prese parte nel 1424 all’assedio di Brescia, ricevendo in ricompensa una estesa tenuta a Prezzate. Tognotto, di Broccardo, cugino dei precedenti, nel 1444 sbaragliò, a capo dei suoi valligiani, le truppe viscontee che, condotte dal conte Giovanni di Covo, avevano invaso la Valle Calepio. Taddeo, di Giovanni detto Manzino, della linea dei marchesi Rota di Bergamo, era stato prima del 1449 al comando del castello di Lecco in servizio della Repubblica. A Lodovico, la Repubblica Veneta conferì il cavalierato del Senato con ducale 9 Ottobre 1585 per le sue benemerenze, ed il 7 Settembre 1617 diede il comando della difesa del territorio bergamasco. Il 20 dicembre gli fu rilasciato un certificato di buon servito in seguito alla difesa di Villa d’Adda.

Lo storico Bortolo Belotti, del ramo bergamasco di questa famiglia ricorda ancora: Battistino, componente di un’ambasceria che il 17 Maggio 1509 presentò al re di Francia Luigi XII°giunto a Caravaggio, atto di sottomissione della città di Bergamo e del territorio. Bernardino, (1509-1575), Cavaliere di S. Jacopo, segretario della città di Napoli, e autore, oltre che di elegie, epigrammi e altri poemi latini, sonetti, canzoni e rime. Bergamasco, lo ritiene A. Muzio nel “Theatrum” e lo afferma il Calvi nella “Scena letteraria”. Giovan Battista, (1722-1786) storico bergamasco, al quale fu dato incarico di raccogliere le antiche iscrizioni bergamasche, disperse in Bergamo e nel territorio, per collocarle nel pubblico museo, ma specialmente egli si rese benemerito per gli studi sulla storia antica di Bergamo, lasciata manoscritta alla sua morte e pubblicata per cura dell’abate Agostino Salvioni nel 1804. Francesco, Capitano e Vice-Podestà di Bergamo nel XVIII° secolo. Dott. Lorenzo, medico e botanico, nato a Carenno nel 1818 e morto a Bergamo a soli 37 anni durante un’epidemia di colera nel 1855, si mise in luce come botanico, pubblicando alcune opere sulla flora nel 1843 e nel 1855. Giuseppe, (1816-1880) sacerdote, filologo, professore, poeta e patriota bergamasco, fervido agitatore repubblicano del 1848; poi professore di lettere a Como, a Milano e all’Università di Pavia, autore di liriche pubblicate negli anni 1856-1859. Carlo, garibaldino morto a causa delle ferite riportate nella battaglia di Palermo il 27 Maggio 1860, Giuseppe, (1831-1907) pittore, decoratore e insegnante d’arte.