Boffelli

ARMA: Spaccato; nel 1° d’argento , al destrocherio vestito di rosso uscente dal lato destro dello scudo, impugnante con una mano di carnagione una cometa d’oro posta in palo; nel 2° d’azzurro, alla quercia al naturale terrazzata di verde, addestrata da un leone d’oro, rampante al fusto, con la fascia palata di nero e di argento di dieci pezzi attraversante sulla partizione. (Arma riprodotta al n. 3475 dello Stemmario Camozzi, manoscritto conservato presso la biblioteca civica A. Maj di Bergamo, ove è specificato che essa era raffigurata nel paese di San Pietro D’Orzio).

Boffelli

CASATA: la famiglia pare sia originaria di S. Pietro D’Orzio, un tempo vasto Comune autonomo ed oggi frazione di S. Giovanni Bianco. Tarcisio Salvetti e Giuseppe Giupponi nelle loro pubblicazioni su questo paese, segnalano la presenza della famiglia sin da tempi remoti e comunque documentata dai primi anni del Cinquecento. Pellegrino, del Grumo nel 1562 fu uno dei due “arbitri” nominati per la definizione di una controversia ereditaria, fra le due figlie di Vistallo Zignoni (il famoso guerriero che portò a S. Giovanni Bianco la reliquia della S. Spina). In un documento datato 29 ottobre 1653, Antonio, viene citato con altri quattro “sindici” e il “console”di S: Pietro D’Orzio, quali rappresentanti il loro Comune, in un atto di vendita con la famiglia Zignoni per “tutta quella quantità di legna atta et habile a carbonizzare, posta et situata nelle boschine dette della Foppa di Asen et Riva Vaga sino alli confini di Dossena”. Anche a Fuipiano al Brembo, un tempo Comune autonomo, ed ora frazione di San Pellegrino, sono documentati sin da tempi antichi, componenti di questa famiglia alla cui presenza si può attribuire il nome della contrada chiamata Cà Boffelli.; nel 1607 ne reggeva la Parrocchia don Bartolomeo Boffelli. Alcuni esponenti di questa casata appartennero alla famosa Compagnia dei Caravana o Camalli di Genova la cui peculiare storia ha inizio intorno al 1300 quando a causa delle tristi condizioni sociali del tempo, le guerre di fazione che insanguinavano i nostri paesi, la popolazione decimata dalla peste e dalla carestia oltre che l’opprimente fiscalità dei Visconti di Milano, favorirono l’emigrazione dalle nostre valli. Fu così che alcuni valligiani, si trasferirono presso il porto di Genova e improvvisandosi facchini, fecero fortuna, conquistando il diritto esclusivo dello scarico di tutte le merci del porto.

La Compagnia dei Caravana già costituita nel 1340 era originariamente sorta per mutuo soccorso verso tutti i lavoratori del porto e, poco dopo la sua costituzione, il diritto d’appartenenza venne ristretto ai soli lavoratori bergamaschi provenienti dalla Valle Brembana. Per usufruire di questo privilegio, che durerà sino al 1848, gli appartenenti alla Compagnia, mandavano le proprie mogli a partorire nei paesi d’origine, onde acquisire l’ attestazione necessaria (certificato di battesimo). Il caravano, oltre ad essere un ottimo lavoratore, (e quindi ben pagato), era circondato dalla generale stima dei genovesi. A lui non si chiedeva solo forza fisica, ma anche comportamenti da persona per bene: gli era proibito bestemmiare, vagabondare, litigare, portare armi, ubriacarsi o giocare alla morra. Ogni trasgressione alle regole, era severamente punita con multe, sino ad arrivare all’espulsione dalla Compagnia. Erano prescritti solidarietà, collaborazione ed aiuto reciproco, compresa l’assistenza agli invalidi; tutti i soci dovevano presenziare alla Messa domenicale ed ai funerali dei compagni. Con il tempo la Compagnia crebbe d’importanza per onori e privilegi, bastai pensare che solo pochi anni dopo la sua formazione, essa aveva a sua disposizione nell’ospedale di Santa Maria Maddalena sette letto per i suoi ammalati (un’ agiatezza davvero impensabile da parte di qualsiasi altra corporazione, neppure ai giorni nostri). Inoltre ai soci era accordato il diritto di sepoltura nella chiesa di Santa Maria del Carmine, presso la Cappella del S. Crocifisso, dove ancor oggi sono conservate lapidi attestanti questo loro diritto.

I Caravana si distinguevano dagli altri lavoratori per una sorta di divisa; portavano un gonnellino azzurro “scossàl”. Altro particolare interessante sta nel fatto che considerata l’omonomia dei cognomi, (Carminati. Sonzogni, Gervasoni, Gotti, Gamba …) all’ingresso nella Compagnia i soci assumessero un soprannome che li avrebbe accompagnati per il resto della vita, anche nei documenti importanti. Troviamo così gli strani nomi di: Mercurio, Marte, Platone, Polifemo, Paride, Paziente, Numitone, … affibiati dal Priore o dal compagno più anziano. Questi soprannomi si trovano nella Matricola dei Caravana già accennati nel 1600, ed è curioso che non pochi di essi vennero tramandati da Caravana a Caravana sino allo scioglimento della Compagnia. Mairone da Ponte nel suo “Dizionario Odeporico” descrivendo i paesi della bergamasca, afferma che a S. Pietro D’Orzio, molte famiglie traevano sussistenza dal porto franco di Genova, essendo proprietari di alcuni posti di esercizio di Caravana in quel porto. Afferma il Belotti nella sua “Storia di Bergamo e dei Bergamaschi” che sebbene contrastata, specialmente dai lavoratori genovesi, che volevano rompere il privilegio bergamasco, la corporazione resistette attraverso i secoli, sebbene corrotta, come quando i suoi posti divennero oggetto di contrattazione e di vendite. Essa fu provvidenziale per la Valle Brembana, considerando che, ancora nel Seicento, i valligiani facenti parte, mandavano circa dodicimila ducati all’anno alle loro famiglie, quando un posto si vendeva per millecinquecento ducati. Con decreto 13 gennaio 1851 re Vittorio Emanuele II stabiliva praticamente la soppressione di ogni privilegio a favore degli scaricatori originari della Valle Brembana e ne dichiarava sciolta la corporazione. Tale decreto disponeva che in futuro, per poter essere ammessi ad esercitare il facchinaggio nel porto franco di Genova, occorreva dimostrare di essere nati e residenti entro i confini del regno sabaudo. Tarcisio Salvetti nella sua opera “San Giovanni Bianco e le sue contrade” asserisce che per le famiglie dei Caravana bergamaschi fu un colpo tremendo, in aggiunta al fatto che fossero malvisti in Liguria in quanto sudditi dell’Austria, la quale non aveva, ormai alcun interesse a sostenere i loro diritti perché presagiva il suo imminente ritiro dalla Lombardia. I lavoratori della Valle Brembana persero ogni speranza di rientrare in possesso del loro posto nel porto di Genova e, per tutto il distretto di Zogno, ma in particolare per molte famiglie di San Pietro D’Orzio (gli Angeloni, i Belotti, i Boffelli, i Bonzi, i Galizzi, i Giupponi, i Luiselli ed i Mangini, tutti cognomi che figuravano negli ultimi elenchi ufficiali dei Cavavana), si tradusse in una perdita economica incalcolabile. Nel registro della Compagnia, nel ruolo dell’anno 1806, sono registrati due fratelli Boffelli Giuseppe e Luigi figli di Pasquale e Laura Luiselli, nati a S. Pietro D’Orzio il primo nel 1782 e il secondo nel 1773. Ancora il 30 settembre 1900 a Genova in occasione dell’inaugurazione del quadro contenente i ritratti di figli di Caravana, lo storico Luigi Cervetto ricorda il cardinale Girolamo Gotti figlio del Caravana “Canuto”, il prof. Antonio Rota figlio del Caravana “Abele”, l’avv. Pietro Zignoni figlio del Caravana “Rotondo”, il negoziane Ghisalberti figlio del Caravana “Silvio” e tanti altri i cui cognomi si riconducono ad origini valbrembane.

Probabilmente non è casuale che certi nomi propri dati ad esponenti di questa casata, dimorante in S. Pietro D’Orzio e vissuti nel secolo scorso, come Paziente, Mansueto, Abele, Generoso, ed altri abbastanza inusuali, siano stati dati a ricordo di antenati Caravana. In passato, data la scarsità di gamma di nomi propri, famiglie e persone si distinguevano con nomignoli e soprannomi curiosi; così troviamo nell’ottocento nel territorio di San Giovanni Bianco tra i Boffelli certo Giacomo “Omacio”, (nel 1892 in località Molini), Pietro, “Imperadur” (nel 1831 in località Foppa della Volpe), Pietro, “Imperadur” (nel 1890 in località Castelli). Più vicino ai tempi nostri si ricordano nativi di S. Pietro D’Ozio: Paziente (1889-1955) che iniziò a lavorare come garzone presso un negoziante di S. Giovanni Bianco; grande lavoratore, per la sua capacità ed intraprendenza rilevò l’attività e divenne un facoltoso commerciante. Fu decorato con Croce di Guerra per aver partecipato al primo conflitto mondiale. E’ ritratto in una fotografia del 1932 con il vescovo di Bergamo Mons. Luigi Maria Merelli ed i membri della Commissione di periti che verificò l’evento prodigioso della Sacra Spina venerata a San Giovanni Bianco. In un libro di memorie, Regina Zimet Levy, un’ebrea scampata alla persecuzione nazista, lo ricorda quale benefattore quando con la famiglia era profuga in Valle Brembana e Valtellina. Un suo nipote, Pietro (1907-1985) figlio di suo fratello Luigi (1874-1949) apprese presso lo zio l’abilità per il commercio e nel 1927 giovanissimo, aprì un’attività commerciale in Piazza Brembana nell’alta Valle Brembana, guadagnandosi la stima della popolazione per onestà e professionalità. Ricoprì incarichi sia nell’amministrazione comunale sia in altri ambiti; venne insignito dell’Aquila d’oro per i quarant’anni di attività.

Ettore (1919-1984) figlio di Paziente, dopo gli studi classici si laureò alla Cattolica in lettere antiche; ufficiale sul fronte francese durante la seconda guerra mondiale, fu per oltre trent’anni docente di greco e latino presso i licei Lussana e Sarpi di Bergamo, dove si era trasferito dalla nativa Valle Brembana, quindi apprezzato insegnante presso il Seminario. Appassionato ricercatore di storia locale, nel 1998 uscì postumo un suo studio con il titolo “San Giovanni Bianco di Valle Brembana – Terra di Bergamo”. L’ultimogenito di Paziente, Giampietro (1928-2011) detto Gianni, proseguì l’attività del padre, fu anche consigliere comunale di San Giovanni Bianco Don Giuseppe (1916- 1975) figlio di Abele, fu per sedici anni parroco a S. Croce di S. Pellegrino e morì Cappellano del santuario della Madonna delle Rose ad Albano S. Alessandro. Don Gaetano (1930-2011) figlio di Alessandro, fu per ventisette anni parroco di Rovetta ed ivi ricordato, ancor vivente, con una targa posta sull’ Oratorio a lui dedicato. Alla sua morte furono unanimi i vari interventi nel definirlo “bontà rivestita di carne”. Giuseppe Giupponi in “Cognomi e Famiglie delle Valli brembana e Imagna” ricorda i Boffelli come gente lavoratrice ed impegnata in diverse attività anche fuori dalla propria patria. E’ un cognome riscontrabile anche in diversi Stati esteri di tutti i Continenti a seguito dell’emigazione. Un altro ramo di questa famiglia è documentata da tempi antichi nel territorio di Camerata, qui, nell’elenco dei morti a causa della peste del 1630, (quella descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi) compilato dal prevosto don Piatti, compaiono ben ventidue Boffelli, fra maschi e femmine su un totale di ottantaquattro deceduti nell’intero Comune. Il soldato Pietro di Camerata fu uno dei nove Caduti valbrembanini spediti in Africa Orientale in conseguenza alla politica colonialista iniziata dal regno d’Italia negli ultimi decenni dell’800, nella sfortunata battaglia di Adua combattuta nel 1896. Nel corso della Grande Guerra (1915-1918) persero la vita Giuseppe e Giovanni di Fuipiano al Brembo e ben cinque giovani di Camerata Cornello fra cui il cappellano militare Don Antonio. L’alpino Domenico cadde durante la seconda guerra mondiale.