Casata: Nobile ed antica famiglia, i cui componenti sin dai tempi più remoti appartenevano al nobile Consiglio ed al Collegio dei Giudici della città di Bergamo. Giuseppe Giupponi in “Cognomi e Famiglie delle Valli Brembana e Imagna” afferma che i primi esponenti dei Quarenghi provennero da Bergamo (Marchesino Martino civis Bergomi 1303). Quindi un ramo ebbe dimora nelle zone delle Barzane e in Val Imagna, specie nel paese di Rota. Pietro nato a Palazzago, viene ricordato fra i primi stampatori italiani (1487). Bortolo Belotti nella sua “Storia di Bergamo e dei bergamaschi”, ricorda numerosi esponenti di questa casata che si illustrarono nel corso dei secoli: Alberto, vissuto nel XVI secolo, siniscalco di Bartolomeo Colleoni, largamente beneficato nel testamento dal condottiero bergamasco per la fedeltà dimostrata. Mons. Antonio, nacque a Padova nel 1547 da padre bergamasco, originario di Palazzago, fu segretario del Collegio dei Cardinali per lungo tempo, referendario della Segnatura e per qualche tempo alla corte del Cardinale d’Este a Modena. Coltissimo di scienze e di lettere ed esperto di varie lingue. Morì a Roma nel 1633 lasciando innumerevoli opere in latino e in volgare, poesie, raccolte di dialoghi e discorsi sui più vari argomenti, fu assai lodato dai migliori del suo tempo.
Suo nipote Flavio, nato anch’egli a Padova, fu rinomato filosofo, scrittore e letterato di chiara fama, scrisse anch’egli diverse opere sia in latino che in volgare Pietro di Giovanni fu un valente medico, vissuto nel XV secolo. Francesco Maria avvocato e letterato bergamasco, vissuto nel XVIII secolo Fra tutti emerge per rinomanza Giacomo (1744-1817) architetto di gran fama. Nacque a Rotafuori in Valle Imagna da Giacomo e Maria Rota, fece gli studi di retorica a Bergamo, con singolare propensione alla poesia, specialmente latina, ma poi, anche per averne avuto i primi elementi dal padre, studiò pittura col Bonomini e con il Raggi, allievi di Fra Galgario, quindi a Roma. Quì fu sedotto dalla più forte inclinazione all’architettura, che studiò con i maggiori artisti del suo tempo. Varie vicende lo portarono in Russia dove per il suo genio, divenne architetto di corte della zarina Caterina II. La grande imperatrice desiderosa di abbellire Pietroburgo, affidò al Quarenghi innumerevoli edifici che ancor oggi si possono ammirare, fra i tanti: il palazzo della Banca Imperiale, la Borsa, lavorò al palazzo dell’Hermitage, a vari ospedali e a numerosi palazzi commissionati dalla nobiltà russa. Morta nel 1796 Caterina, il nuovo zar Paolo I, conservò il Quarenghi presso la corte, così come il suo successore lo zar Alessandro, ma i tempi non furono propizi per la sua arte e per la sua attività come per il passato. Nel 1810 ritornò a Bergamo dove ebbe festose accoglienze e fu dal Consiglio muicipale, incaricato di disegnare un arco di trionfo per Napoleone, poi non più costruito per il sopraggiungere dei nuovi avvenimenti politici. Tornato in Russia ebbe l’incarico di un grande tempio in memoria della cacciata di Napoleone del 1812, progetto che però non venne più eseguito, come quello di un altro suo disegno per un grande teatro.
Giacomo Quarenghi morì a Pietroburgo il 18 febbraio 1817, sepolto con solenni onori. Valente e geniale artista, fu affezionato alla sua terra bergamasca; per quanto le necessità della vita e dell’arte l’avessero tenuto lontano dalla sua patria, cercò non solo di coltivare relazioni bergamasche, ma fece chiamare a Pietroburgo imprenditori e artisti italiani. Altro rami di questa famiglia nel corso del secolo scorso sono ricordati nei paesi di Vedeseta, Sottochiesa e Olda in Val Taleggio. Fra i bergamaschi che combatterono valorosamente al seguito di Giuseppe Garibaldi nella spedizione dei Mille (1860) che liberò l’Italia meridionale dal dominio borbonico; si ricordano Celestino ed Antonio di Villa D’Almè, quest’ultimo ferito nella battaglia di Calatafimi. Nel corso della Grande Guerra (1915-1918) perirono i soldati Nino di Olda in e Giovanni di Pizzino sempre in Val Taleggio.
A San Pellegrino Terme il dott. Francesco Merino medico condotto e ufficiale sanitario del paese, morto cinquantenne il 3 aprile 1936, fondò l’omonima clinica che ancor oggi gode di grande prestigio, fu personaggio di spicco e ricoprì importanti incarichi. Uno dei suoi figli il dott Angiolino dal 1960 ricoprì il ruolo di medico sportivo della grande Inter di Moratti e dell’allenatore Helenio Herrera, fino al 1977. La collaborazione con l’Inter lo portò al vertice dei medici sportivi e ciò produsse una svolta nella sua professione, tanto che nel 1976 conseguì a Chieti la specializzazione in “medicina dello sport”. Di ispirazione liberal-democratica, partecipò con il fratello maggiore Valentino alla lotta di Liberazione, come collaboratore di Ferruccio Parri, primo Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia libera (1945). Scrive G. Pietro Galizzi in “San Pellegrino Terme e la Valle Brembana” : Per lui essere nato a San Pellegrino Terme comportava l’obbligo morale di conservare, anzi di promuovere, il benessere della sua cittadina, della quale avvertiva per primo le intrinseche debolezze, paventando le insidie che ne avrebbero ostacolato non solo lo sviluppo, ma addirittura minacciata la stessa sopravvivenza come stazione termale. Questa spinta ideale che lo accumunava agli altri fratelli, lo portò al suo deciso impegno professionale nell’ambito della Casa di Cura, che divenne per vent’anni dal 1947 al 1967, un presidio sanitario dell’intera Valle in tutte le principali branchie della medicina e della chirurgia, con servizio di Pronto Soccorso. Negli anni successivi man mano che l’ospedale pubblico di San Giovanni Bianco si sviluppava, il ruolo della Casa di Cura si indirizzò verso servizi e prestazioni in senso specialistico. Fu merito suo quello di inserire la medicina riabilitativa neuromotoria e successivamente anche quella cardiologia accanto alla medicina generale, termale, preventiva e sportiva.
Per il suo impegno civile venne nominato Presidente del Partito Liberale Italiano di Bergamo e quella di Vicepresidente regionale, partecipando alle elezioni europee del 1979, del 1984 e del 1989 Negli ultimi tempi della sua vita fu fra l’altro anche sindaco di San Pellegrino, morì il 19 giugno 1992 e l’orazione funebre venne pronunciata da mons Bruno Foresti arcivescovo di Brescia. Nel giugno 1995 venne inaugurata una stele marmorea a lui dedicata con un tondo bronzeo che lo raffigura. Bruno viene ricordato come valente speologo, al quale venne conferita una medaglia d’oro per la sua abnegazione ed il suo altruismo. Una linea di questa famiglia fu trapiantata in Ancona dai fratelli Domenico, Giovanni e Giuseppe, figli di Antonio nella seconda metà del XVI secolo. Con un decreto del 1694 fu conferita la nobiltà anconitana ai loro discendenti. Lodovico, patrizio di S. Marino, fu Gonfaloniere di Ancona, quando la città accolse fra le sue mura il Pontefice Gregorio XVI.