CASATA : famiglia originaria di Bergamo, appartenente al nobile Consiglio della città. Nel 1400 si ha memoria di Bonizolo padre di Pezolo che nel 1445 durante la guerra fra la Serenissima e il duca di Milano, arruolò con mezzi propri dei soldati per conservare la terra di Alzano fedele alla Repubblica Veneta.
La famiglia si trasferì in seguito in città e già al principio del XVI secolo aveva raggiunto una grande fortuna commerciando in olii e cuoi, specialmente con Venezia dove aveva una sede. A. Mazzi ne “Taverne, osterie e alberghi in Bergamo fino al XVI secolo” , afferma che i Gozzi tenevano bottega nella vicinia di S. Pancrazio in città alta, presso la torre del Gombito. Da Pezolo nacquero Zanin e Bonisolo che originarono due linee della famiglia. La prima trapiantata a Venezia nel 1515, si arricchì notevolmente e venne aggregata nel 1646 al patriziato Veneto con Gio. Batta fu Gabriele, mediante l’esborso alla Repubblica di centomila ducati d’oro, per le necessità della guerra di Candia. Questa linea si estinse nel 1698. La seconda vanta due celebri letterati fra i maggiori del Settecento italiano: Carlo (n.1722) e Gaspare (1713-1796), secondo il Belotti, discendenti da una famiglia oriunda di Lenna, in alta Valle Brembana, tanto che come bergamaschi furono iscritti all’Accademia degli Eccitati. Successivamente trasferitisi a Venezia, i Gozzi, attraverso le generazioni divennero veneziani, anche se lo stesso Carlo nelle sue “Memorie inutili”, si riconosce discendete di Pezolo di Alzano. Della linea che fiorì a nella bergamasca, lo storico Bortolo Belotti, ricorda alcuni illustri esponenti: Francesco figlio di Giov. Antonio, valente pittore, allievo di Francesco Terzi, e ventenne, con lui a Praga nel 1557. Ritornato a Bergamo; nel 1564 dipinse per la chiesa di S. Alessandro della Croce, una Sepoltura di Cristo, e nel 1573, per la chiesa dei Cappuccini, una Deposizione del Salvatore. Morì il 28 gennaio 1607.
Esponenti di questa famiglia, originari sia di Piazza che di Lenna, risultano impegnati nell’industria mineraria sin dal XV secolo nel territorio dell’alta Valle Brembana; alcuni fra loro vennero ingaggiati, quali abili maestri di fusione, anche in diverse regioni d’Italia. 27 febbraio 1541. Alessandro Gozzi fu Giacomo di Lenna promette a Giacomo Raspis fu Antonio di Bergamo di effettuare trasporti per i forni di Lenna e di Bordogna. 17 giugno 1619: Alessandro fu mastro Santino di Piazza “alamaro”, lavorante nella fucina grossa di Malpasso di Averara di proprietà di Simone Milesi, consegna la fucina stessa a Battista Migazzi di Redivo per ordine del Podestà di Bergamo. Nei documenti del notaio Cristoforo Donati fu Giacomo di Piazza si legge: 1 marzo 1551, Simone Gozzi fu Giacomo Martino di Lenna, affida per due anni suo figlio quindicenne Silvestro a mastro Antonio Ruffinoni, affinché lavori presso la sua fucina oltre il ponte di Lenna ed apprenda l’arte “feraritia”.
4 novembre 1586, Antonio Gozzi fu Simone Belduno di Lenna, promette di affidare suo figlio diciannovenne Battista a mastro Bernardino Ruffinoni di Bordogna, perché vada con lui in Valsassina a lavorare in fucina. 16 gennaio 1657. Santo Gozzi promette a Floriano Geneletti e Santo Calegari di fabbricare acciaio nella fucina di Piazza di loro proprietà. 20 giugno 1667. Santo fu Alessandro di Piazza, vende a Viviano Salvioni di Bergamo: 2 capi e ¼ dei 78 della frera del Monte Sasso, 1/3 della frera frera di Carisole, la quarta parte della frera dell’Isola di Trabuchello e 1 dei dieci capi del forno di ferro di Lenna. Nell’archivio del Collegio Notarile della città di Bergamo si trovano citati Cristoforo nel 1509 e Bernardino nel 1523. Santo di Piazza, figlio di Alessandro, nel 1639 esercitava anch’egli la professione di notaio specialmente nella zona dell’alta Valle. Sulla fontana posta di fronte all’antica dimora del Vicario Veneto di Serina, datata 1581, vi è scolpito il nome del Vicario del tempo: Franciscus Gozius
Don Marco di Lenna, nel 1826 era vice-Arciprete di S. Martino oltre la Gogggia e morì nel 1836. Marco, nato a San Giovanni Bianco e morto ottantenne l’11 agosto 1839, afferma il Belotti, giunse a tale reputazione, da essere definito restauratore della pittura paesistica. Egli peraltro continuò sostanzialmente la tradizione settecentesca, per quanto non abbia trascurato la pittura di carattere religioso, come con i due grandi quadri esistenti nella parrocchiale di S. Caterina, a lui attribuite. Fu inoltre un apprezzato ritrattista; tele di questo artista si possoo ammirare a Milano, nella raccolta del museo Sforzesco e nella Galleria d’arte moderna, a Bergamo nell’Accademia Carrara, nelle raccolte dei conti Moroni e presso altri privati. Quando morì, le Notizie Patrie, annunciarono che egli godeva di pensioni di benemerenza per i preziosi dipinti eseguiti per le più rilevanti e regie pinacoteche. Venne sepolto nel cimitero di Valtesse con la seguente epigrafe: “Marco Gozzi luminare e capo di nuova scuola nella pittura di paese”. Scrive ancora il Belotti, a proposito dei moti rivoluzionari del 1849, contro la dominazione austriaca, che questi trovarono terreno fertile in alta valle brembana. Nel distretto di Piazza, ottanta valligiani, dietro propaganda dei fratelli Moccchi di Lenna, si mossero per raggiungere la famosa “Colonna” di Gabriele Camozzi.
Il 5 febbraio 1850, veniva arrestato Antonio Francesco Gozzi, alunno scrittore della Pretura di Piazza, accusato di essere a capo di una società che si riuniva in un’osteria, per tenervi discorsi politici ostili al governo; al momento dell’arresto, indossava sotto gli abiti una sciarpa tricolore. Giovanni fu Basilio, classe 1884, con la moglie Antonietta Calvi, fu tra i primi di Lenna ad emigrare in America, dove vissero sino alla morte. Il figlio Bill, fu tra i maggiori allevatori di tacchini del Nord Carolina, venne insignito di importanti riconoscimenti per la sua attività. Di Lenna si ricordano: Camillo di Giovanni, Domenico di Domenico, Domenico di Rizieri, Domenico di Simone, Giovanni di Andrea, Giovanni di Cipriano, Luigi di Luigi e Sigfrido di Carlo, i quali morirono per la patria durante la prima guerra mondiale. L’alpino Paolo, già postino di San Giovanni Bianco, morì sul Don in Russia, nel corso della seconda guerra mondiale.